LIBIA, UNA PAROLA PROIBITA

11.03.2023
(presa da Pandorarivista.it)
(presa da Pandorarivista.it)

LUANA FOTI. I richiedenti asilo accolti dalla cooperativa Exodus di Saline Joniche, raccontano le violenze subite nel paese nordafricano.

Ahmed Bplob ha diciannove anni. È nato in Bangladesh e nel 2016, con 6.000 taka bengalese (circa 57 euro) in tasca necessari per superare i controlli alla frontiera, ha lasciato la sua casa ed è volato verso la Libia. Secondo un reportage di Internazionale dell'agosto del 2017 condotto da Annalisa Camilli, la Libia era per molti bangladesi una meta d'eccezione che gli consentiva di lavorare qualche anno all'estero e mettere da parte qualche soldo. Ma ora, un biglietto per la Libia si è trasformato in un biglietto verso l'Inferno. È in Libia che la storia di Ahmed s'intreccia per sempre con un filo invisibile e indivisibile con la storia di Elhadj Diallo (Guinea), Julius (Nigeria), Samba (Senegal), God'sTime (Nigeria), Mandu (Ghana), Isaac (Ghana) e Tyson (Guinea), alcuni dei ragazzi accolti dalla Cooperativa Exodus di Saline Joniche, in provincia di Reggio Calabria, che visito tutti i giorni per cinque settimane. Ognuno ha la sua storia, i suoi perché, i suoi ricordi felici e i suoi traumi. Si entusiasmano quando gli chiedo di parlarmi delle loro allegrie. Tyson si commuove mentre mi fa vedere la foto della sua sorellina che non vede da un anno perché rimasta in Guinea con sua madre. God's Time mi racconta di quanto è felice quando taglia i capelli e che da grande vorrebbe fare il barbiere. Diallo mi mostra il gol che ha fatto e che ha fatto vincere la squadra dove gioca. Con Julius ascolto "A new days has come" e tutte le canzoni di Celine Dion che piacciono ad entrambi. Ma, quando pronuncio una parola in particolare, la loro postura s'irrigidisce, gli sguardi diventano seri e la bocca si chiude nervosa. Dico "Libia" e il silenzio s'impossessa di tutti noi.

La rotta migratoria che dalla Libia - punto di raccolta dei migranti provenienti da Africa e Medio Oriente, tocca il mediterraneo. La più mortifera del mondo. By refugeesinternational.it
La rotta migratoria che dalla Libia - punto di raccolta dei migranti provenienti da Africa e Medio Oriente, tocca il mediterraneo. La più mortifera del mondo. By refugeesinternational.it

Parlare della Libia, di quello che succede in Libia, per loro non è facile. Ricordare di essere un essere umano, in Libia, non è facile. E se, come tutti, davvero tutti dicono, "Dio vuole che io esca vivo da lì, non ci sarà niente che potrà farmi più paura. Niente che potrà farmi più del male. Niente che io non potrò superare". Ahmed dice che Loro hanno bisogno di torturarli perché con le parole non si incute paura. E Loro hanno bisogno che si abbia paura di loro perché solo così pensano che possano ottenere ciò che vogliono. Cosa vogliono? Denaro. Tanto denaro. Isaac e Mandú sono due ragazzi ghanesi. Sono sempre seduti in disparte. Mandú è solitario, combatte internamente una dura battaglia contro se stesso e il mondo esterno che vede come una minaccia dalla quale doversi proteggere. Porta sul lato destro delle labbra una ferita da taglio. I suoi occhi sono tristi e persi nel vuoto ma a volte ascolta il suo bisogno interno di parlare e raccontare qualcosa di cosa gli è successo. E timidamente lo fa. Anche se poi se ne pente. Ripete: "quello che è successo prima l'ho cancellato. Non mi ricordo niente. Non voglio ricordare. È stato terribile". Ma, quando al gruppo si unisce Isaac, anche lui dallo sguardo triste ma pieno di voglia di vivere, entrambi si animano a raccontare. Isaac dice che ognuno ha un motivo diverso per il quale va in Libia ma lì le storie si uniscono e l'inferno di tutti comincia a prendere forma. Dicono che c'è la guerra e che non si può uscire di casa neanche per andare a comprare da mangiare perché le strade sono controllate dalla polizia che può sequestrarti in qualsiasi momento e, se non hai soldi, ti uccide così a sangue freddo senza che nessuno possa fare niente per impedirlo. Una notte la polizia ha fatto irruzione nel loro appartamento, ha ucciso davanti ai loro occhi alcuni compagni con i quali condividevano il cibo, il tetto e i sogni di una vita migliore e chi è rimasto vivo è stato sequestrato e rinchiuso in gabbie di cemento e ferro insieme a 40/50 persone all'interno delle quali non c'era abbastanza spazio per poter stare tutti in piedi. Una volta lì dentro subiscono torture di ogni genere i cui segni sono ancora ben evidenti nei corpi e nelle menti di ognuno di loro. La loro permanenza in questi luoghi varia, da uno a tre o cinque mesi o anche di più, in attesa che qualcuno dei loro famigliari paghi il riscatto o che qualcuno trovi il coraggio di fuggire via. Come Mandù che lo ha fatto una notte d'estate, strisciando per terra insieme ad altre trenta persone mentre il cecchino e le guardie fuori erano distratte e come ha fatto anche Isaac. Isaac, dopo la fuga, incontra un uomo che gli dice che continuare a stare in Libia sarebbe stato mortale per lui e che se voleva sopravvivere doveva prendere un po' di soldi per pagare il viaggio e salire sulla barca. Con un misto di eccitazione e paura mi racconta che quando è arrivato nel posto dove c'era la barca e ha sentito il suono del mare, "mamma mia! Ho fatto pipì cinque volte". Era terrorizzato dal mare. Racconta che si ripeteva "no, non voglio andare avanti, io ho paura di questo". "Volevo ritirarmi, ma Lui mi ha detto che se non salivo sulla barca mi avrebbe dovuto uccidere perché stavano facendo qualcosa di illegale. Ora non si poteva più tornare indietro. Ho visto la barca e ho detto: o vivo o muoio. Non voglio che Loro mi uccidano. È meglio morire dentro l'acqua, se così Dio vuole". Così Mandú, Ahmed, Isaac e migliaia di esseri umani, all'oscuro della notte, alle forze del mare e alla benevolenza del loro Dio affidano la sorte del loro viaggio verso un nuovo orizzonte. Un orizzonte che passa per la rotta del Mediterraneo centrale, la più pericolosa al mondo per l'alto tasso di mortalità che in essa si registra. Al di là del mare, sognano l'Europa.

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